Salvare gli studios

Dalla primavera all’autunno del 1992, Claudio Papalia e Tiziana Ripani spargono la voce della minaccia incombente sui vecchi Studi. Raccolgono dapprima l’interesse di Antonino Varsallona, Helen Jardine, Pietro Sciortino, Angelo Santovito, Luciano D’Onofrio, Armando Ceste, Gaetano Capizzi, con i quali cominciano a discutere la folle utopia: salvare gli studi Fert dalla distruzione e far rinascere a Torino, culla del cinema italiano, un centro di produzione con uno sguardo e una prospettiva verso l’Europa. F.E.R.T., nome leggendario che appare nell’Histoire Générale du Cinéma di Georges Sadoul, acronimo coniato dal primo fondatore dei teatri nel 1919 - Fiori Enrico Roma Torino - si trasforma così in Filming with a European Regard in Turin, un’”invenzione” di Claudio Papalia ed Helen Jardine, trasformata in “logo” grafico da Antonino Varsallona.

L’appello al salvataggio viene lanciato durante il Festival Cinema Giovani, a Torino, il 21 novembre 1992 e raccoglie numerose adesioni di cineasti e uomini di cultura: questo primo convegno vede la nascita di fatto dell’Associazione che concentra in uno slogan il proprio programma:  “SALVIAMO LA PRIMA CINECITTA’ ITALIANA PER IL CINEMA INDIPENDENTE EUROPEO. [Comunicato stampa 21 novembre 1992] [I Fert possono avere un futuro] [Help us save the first Italian Cinecittà] [Lista partecipanti convegno 21/11/92] [1997 Video Fert: The End?]

In dicembre, sollecitato da Lino Sturiale, a nome dei partecipanti al convegno, Claudio Papalia presenta al Sindaco della Città di Torino e agli Uffici dell’Urbanistica una Osservazione al Preliminare di Piano Regolatore per quanto concerne la destinazione dell’area denominata “ex teatri Fert” in Corso Lombardia e richiede un incontro con le autorità competenti per motivare, con gli esiti di una prima indagine, ragioni e fattibilità di ipotesi di restauro e ripristino dell’attività originaria degli studios. [Osservazione]

“Torino non può permettersi di perdere per sempre la sua più gloriosa ‘industria del terziario’, proprio nel momento in cui
numerosi segni lasciano presagire una ripresa del mercato audiovisivo europeo – giusto sulle aree di prodotto in cui le risorse umane torinesi potrebbero tornare ad eccellere”. Così citava il documento di opposizione al P.R.G. e l’opposizione fu – nel giro di pochi mesi – accolta dal Commissario prefettizio.

A distanza di dieci anni viene ancora da chiedersi cosa mai poté fermare le ruspe. Quale attrazione potevano esercitare i ruderi di una fabbrica dei sogni abbandonata? E quali garanzie poteva offrire un progetto visionario proposto da film makers indipendenti?

Agli inizi degli anni ‘90 Torino cercava una nuova pelle, la città aveva chiaro il bisogno di riconvertirsi industrialmente e questo progetto – quasi una sfida – fu d’incoraggiamento alla nuova Torino. D’altronde, come già accadeva in altri paesi europei, la valorizzazione dell’industria dell’audiovisivo era diventata (o stava per diventare) una voce primaria nella ricerca di alternative alla crisi.